È trascorso oltre un secolo da quando venne coniata l’espressione “il cliente ha sempre ragione”, attribuita all’imprenditore americano Harry Gordon Selfridge. Da quando Selfridge he espresso questo punto di vista, però, il ruolo del cliente o consumatore è cambiato, anche se in modo a volte impercettibile.
Selfridge provava a mettere in pratica il principio del servizio al cliente, ma in generale, i produttori e rivenditori dei suoi tempi non lo facevano: era abitudine comune, infatti, vendere articoli di scarsa qualità. Negli anni successivi, in un prolungato periodo di conflitti globali in cui scarseggiavano molti beni, i consumatori si videro costretti ad adottare un approccio “arrangiati e ripara” (make, do and mend). In breve tempo, tuttavia, questo atteggiamento cedette il passo alla società dell’usa e getta, incoraggiata da produttori e rivenditori desiderosi di vendere quanti più prodotti possibili. Anche se questo significava sprechi, consumi eccessivi e obsolescenza programmata.
Ma, la ruota gira, oggi l’economia circolare sta cambiando l’intera filiera, compreso il modo in cui i prodotti vengono utilizzati e smaltiti. Per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità che stanno adottando i governi – e, in misura crescente, anche produttori e consumatori – occorre che il valore di un prodotto venga preservato il più a lungo possibile durante l’utilizzo e che non venga disperso quando il prodotto viene smaltito.
Sempre più spesso i consumatori prendono in considerazione l’impatto che le loro scelte di acquisto hanno sulla sostenibilità. Una ricerca condotta da DNV dimostra che il 48,1% acquista prodotti con proprietà riciclate e il 62,9% preferisce fare meno acquisti o optare per prodotti di seconda mano. In passato si riteneva che le vendite dell’usato non portassero vantaggi ai produttori, ma in realtà non è sempre così. Ad esempio, i consumatori che non possono permettersi il nuovo, o preferiscono non acquistarlo, possono comunque sviluppare una fedeltà di marca acquistando prodotti di seconda mano o ricondizionati.
Nei modelli economici lineari, la responsabilità aziendale si esaurisce nel punto vendita o di assistenza. Nei modelli circolari, invece, si estende all’utilizzo e smaltimento dei prodotti. In questo modo, aziende e consumatori sono spinti ad agire in sinergia per ottenere la circolarità. Un approccio che richiede di adottare nuovi modelli di business, oltre che di cambiare abitudini d’acquisto e di consumo sedimentate per decenni.
Le aziende devono progettare prodotti o servizi circolari di lunga durata, mentre i consumatori dovrebbero sviluppare una conoscenza critica della circolarità che stimoli la partecipazione. Per esempio, le aziende possono offrire programmi di ritiro per i prodotti elettronici a fine vita o prevedere un deposito per gli imballi riciclabili, come spesso accade con le bottiglie in vetro o le lattine. I programmi di ritiro per prodotti obsoleti possono anche accrescere il coinvolgimento del consumatore, mentre per il produttore è possibile riutilizzare almeno alcuni componenti, offrendoli come parti di ricambio per prodotti ancora funzionanti o recuperando valore tramite altre forme di riciclo. In ogni caso, il successo di queste iniziative sarà proporzionale al grado di partecipazione dei consumatori.
Il successo dipende interamente dalla capacità di assicurarsi che azienda e consumatore agiscano in sintonia. L’indagine DNV dimostra che la maggior parte dei consumatori (86,1%) ritiene di poter svolgere un ruolo nell’economia circolare. Di questi, il 65,4% pensa di poter contribuire acquistando prodotti sostenibili e riciclandoli in modo corretto. È interessante notare come il 20,7% ritenga efficaci anche l’attivismo e i boicottaggi.
Una sfida aperta per le aziende riguarda i modi per ingaggiare i consumatori e incentivarli ad adottare i loro modelli di business circolari, per assicurare un futuro di autentica circolarità.